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Credo nei DPCM e nelle politiche anti Covid-19. Ma…

di 6 Novembre 2020No Comments
DPCM e politiche anti Covid-19

DPCM e politiche anti Covid-19

Credo nei DPCM e nelle politiche anti Covid-19.

Credo che tutte le decisioni vengano prese solo e soltanto nell’interesse del popolo italiano.

Credo che tutti i provvedimenti passati e futuri abbiano avuto, abbiano ed avranno il supremo scopo di salvaguardare la sanità pubblica.

Nonostante alcune “minuzie”. Ed un paio di “ma”.

Credo nei DPCM e nelle politiche anti Covid-19. Ma…

Stato di emergenza, DPCM e Costituzione

Credo nei DPCM e nelle politiche anti Covid-19. Nonostante la trascurabile questione legata al dibattito sulla illegittimità dello stato di emergenza, strumento che attribuisce ulteriori poteri a Governo e Protezione Civile ma creato per rispondere ad esigenze legate a calamità naturali e non a situazioni di “pandemia”. (qui il parere di Sabino Cassese)

L’attuale stato di emergenza è stato disposto il 31 gennaio 2020 e prorogato in maniera reiterata attualmente fino al 31 Gennaio 2021, in una situazione che alcuni reputano diversa dai suoi propositi originali. Mentre nella nostra attuale Costituzione (articolo 78) l’unico caso di attribuzione di poteri straordinari al Governo dovrebbe essere il solo Stato di Guerra.

Nonostante inoltre l’altra trascurabile questione legata al dibattito sulla limitazione delle libertà personali riconosciute dall’articolo 13 della Costituzione (la quale, non vorrei sbagliarmi, credo sia ancora formalmente in vigore). Tale diritto inoltre venne valutato dai costituenti come il primo tra diritti dei singoli, ancora prima del diritto alla salute, e sottoposto alla cosiddetta riserva di legge assoluta, ossia la competenza esclusiva della legislazione ordinaria.

Infine nonostante l’altrettanto trascurabile questione legata al dibattito sulla incostituzionalità del DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) sia nel metodo, perché si sarebbero potuti utilizzare gli altri strumenti creati in caso di “necessità ed urgenza”, sia nel merito, in quanto avrebbero disposto limitazioni delle libertà personali che richiedevano appunto fonti primarie del diritto. In quanto il DPCM è atto amministrativo (fonte secondaria del diritto) che discende dalla decisione del solo Capo del Governo e che non richiede alcuna ratifica parlamentare e nessuna controfirma da parte del Presidente della Repubblica, ergo nessun controllo da parte degli altri organi in cui risiede la sovranità popolare.

Ad onor del vero vi sono state anche diverse voci che hanno giustificato le attuali disposizioni legislative perché riferite ad una situazione extra ordinaria e perché limitate entro rigorosi limiti oggettivi e temporali. (qui il parere di Gustavo Zagrebelsky)

Ma cosa accadrebbe se l’emergenza non finisse in poco tempo?

Se si protraesse fino a trasformarsi da provvisoria e definitiva?

Se pensate siano solo distopiche elucubrazioni all’insegna di quello che è stato definito in ben più alti consessi “Grande Azzeramento” o “Great Reset”, e se non vi bastasse il continuo prostrarsi dello stato di emergenza, potrebbero essere profetiche e rivelative le parole del capo del governo Giuseppe Conte pronunziate alla Camera il 2 Novembre 2020:

“Non conosciamo ancora il volto dell’Italia che verrà, ma sappiamo con certezza che le trasformazioni in atto lo cambieranno profondamente. Il compito della politica, di tutti noi, sarà guidare e accompagnare questa transizione. Nessuno può sentirsi esonerato da questa sfida di portata storica” (qui l’intero discorso)

DPCM e costituzione

DPCM e costituzione

Tamponi, carica virale e PCR

Insisto nel credere nei DPCM e nelle politiche anti Covid-19. Nonostante la marginale questione della ratio, delle interpretazioni e dei cambiamenti delle politiche diagnostiche, ad esempio sui concetti di positività al tampone, di carica virale e sul concetto di malato.

Nonostante ancora risulti ancora poco chiaro l’interpretazione dei dati del tampone molecolare (RT- PCR) che, attualmente, rappresenta il mezzo primario per la diagnostica e che stabilisce chi è positivo al virus, che dovrebbe essere cosa ben diversa da chi è malato (infatti circa il 55% dei positivi al tampone sono asintomatici, ossia sani. Percentuale che sale al 95% se a questi aggiungiamo chi ha sintomi lievi). (qui il rapporto dell’ISS)

Nonostante il tampone non possieda un’accuratezza del 100% (ma nessun test possiede una tale accuratezza), dovrebbe avere una sensibilità di circa il 99% (ossia la capacità evitare di incappare in falsi positivi) ed una specificità variabile tra il 70% ed il 90% (ossia la capacità di evitare falsi negativi) in base ai prodotti. Ebbene sì perché non esiste un solo tipo di tampone ma ne esistono decine, ciascuno con proprie caratteristiche. (qui il rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità)

Nonostante il dato della positività sia dipendente da quanti cicli di amplificazione tramite PCR vengano effettuati sul materiale genetico trovato nel campione naso faringeo. Se infatti si risulta positivi al virus dopo 25 cicli, ciò presupporrà una carica virale ed una contagiosità di molto superiore a risultare positivi dopo 40 cicli. Purtroppo però, ad oggi, non sembra esservi una indicazione univoca di questo dato nel risultato dei tamponi e nemmeno sul numero massimo di cicli PCR in Italia.

E nonostante adesso, a differenza della primavera, sia cambiata completamente la politica sui tamponi. Prima erano testati solo i sintomatici (ossia i malati), mentre negli ultimi tempo si è optato per un campionamento a tappeto il quale, considerando la prevalenza nella popolazione che sembrerebbe oscillare tra il 2,5% ed il 10% e quindi in Italia tra 1,5 e 6 milioni di persone positive, ha aumentato di molto le positività al SARS-CoV-2 (che è il virus testato dal tampone) che è cosa ben diversa dal malato di Covid-19 (che è il nome della malattia).

Infine questa politica dei tamponi a tappeto, con il corollario di autoisolamenti e quarantene (prima di 14 giorni con doppio tampone negativo poi, contrordine, di 10 giorni con 1 solo tampone negativo), sarebbe dovuta essere un modo per circoscrivere i contagi o per inseguire il virus?

DPCM politiche anti Covid-19

Tamponi, carica virale e PCR

Informazione, terrorismo e infodemia

Continuo a credere nei DPCM e nelle politiche anti Covid-19. Nonostante l’incidentale dibattito sui mezzi di informazione, incarnati in primis dagli autonominati “professionisti dell’informazione”. I quali sembrerebbero aver profuso molte più energie nel sobillare panico e psicosi che nell’informare il popolo.

Il tutto grazie ad un impreciso, incoerente e contradditorio flusso di notizie più simile a frivoli pettegolezzi che a funzionale opera di formazione. Che inizia dal lessico e dalla semantica. Nel primo caso ad esempio possiamo inserire l’uso intercambiabile di “SARS-CoV-2” (il virus) e “Covid-19” (la malattia) utilizzati in maniera completamente fuorviante ed indefinita. Che continua con la confusione semantica tra i “casi” di Covid-19 (ossia i malati) ed i “positivi” al tampone per Sars-Cov-2. E che si conclude con l’invenzione della nuova categoria del “malato asintomatico”, positivo al tampone per il virus ma senza sintomi della malattia, quindi sano. Degnissimo ossimoro per i nostri “professionisti dell’informazione”.

Mentre si terrorizzava la popolazione accostando questa malattia all’influenza spagnola, che circa un secolo fa uccise oltre 50 milioni di uomini rispetto a 1,2 milioni di morti del Covid-19 ad oggi, si proclamava ad ogni piè sospinto che la nostra unica salvezza sarebbe giunta da un salvifico vaccino.

Vaccino che si auguravano fosse pronto il prima possibile. Ma su cui si ometteva non solo la sua incerta efficacia (che gli stessi addetti ai lavori davano al massimo temporanea molto simile al vaccino antinfluenzale) ma anche i necessari tempi per garantirne la sicurezza. Salvo poi ricordarsi di tutto ciò, in tal modo rivelando un palese doppiopesismo intellettuale, all’annuncio del vaccino russo.

Ovviamente i professionisti dell’informazione sono riusciti perfettamente a valutare ogni notizia nel suo contesto, nella sua gravità e nella sua piramide di importanza. Infatti, dopo il terrore un tanto al chilo sul Covid, senza soluzione di continuità passavano beatamente a raccontarci dell’ultimo rilevante litigio al Grande Fratello.

Continuo a credere nei DPCM e nelle politiche anti Covid-19 nonostante l’uso strumentale e decontestualizzato dei numeri. Nonostante ogni giorno il triste bollettino contabile annunci i morti (ad oggi sopra i 400) senza mai aver fornito incidentalmente il totale dei morti in Italia (che ogni singolo giorno sono mediamente 1700/1800).

Numeri che vengono sparati più per il loro effetto sensazionalistico (del tipo “100 mila contagi in India e oltre 1000 morti”) che per una corretta valutazione della questione (come ad esempio che la popolazione totale in India sia di oltre 1,3 miliardi). Numeri che valgono sempre in valore assoluto (come gli oltre 2500 ricoverati in terapia intensiva ad oggi) senza il valore relativo (ossia che questo numero rappresenti circa il 28% del totale dei posti).

Informazione terrorismo e infodemia

Informazione, terrorismo e infodemia

Gestione della malattia, cure e politiche sanitarie

Persevero nel credere ai DPCM e nelle politiche anti Covid-19. Nonostante permangano alcune risibili ombre sulla gestione della malattia. In primis sulla prima fase, in cui il combinato disposto tra chiusure degli anziani malati nelle RSA, assenza di autopsie (non proibite ma pur sempre sconsigliate dal governo) e protocolli medici incerti, potrebbe addirittura essere stato una causa dell’aumento della letalità.

Anche sulla altrettanto risibile questione della letalità si potrebbero spendere alcune parole. In primis, per rimanere nell’ambito delle definizioni, dividendo in primis il concetto di mortalità (ossia il numero di morti sul totale della popolazione in un determinato periodo) da quello di letalità (numero dei morti sul totale dei malati).

Inoltre separando i due indicatori per la letalità: la letalità per caso (CFR), con cui si valuta il tasso di morti rispetto ai malati, e la letalità per infezione (ICR) con cui si valuta il tasso di morti tra tutti gli infetti (qui il rapporto dell’OMS). Non risulta facilissimo districarsi tra i due indicatori negli studi scientifici: un recente studio pubblicato sul bollettino dell’OMS stima che IFR sia tra 0,09% e 0,57% nei vari stati in base ai morti di Covid per milione di abitanti mentre il CFR totale per l’Italia è passato dal 14,5% all’11,5% (nel solo periodo autunnale è sceso all’1,6%) (qui un grafico).

Ma l’aspetto che sarebbe comico se non fosse tragico è l’assoluta impossibilità di capirci qualcosa dai media: l’interscambiabilità più totale tra mortalità e letalità e l’affastellarsi caotico e casuale di dati, numeri e percentuali rendono la questione più simile ad una tombola natalizia che ad una corretta notizia. D’altronde non possiamo mica pretendere qualità da redazioni in cui lavorano soltanto centinaia di autonominati “professionisti dell’informazione”.

Persevero nel credere ai DPCM e nelle politiche anti Covid-19 nonostante non si riesca a rilevare la motivazione strettamente sanitaria in pratiche come il coprifuoco o l’obbligo delle mascherine all’aperto. Le quali pratiche però potrebbero invece manifestare intenti di ordine pedagogico-simbolico, come una sorta di attitudine all’ubbidienza ed alla disciplina incondizionata. (qui, qui, qui e qui simpatiche ed autorevoli pareri)

Persevero nel credere ai DPCM e nelle politiche anti Covid-19 nonostante non si riesca mai a comprendere il “perché”. Perché tutto ciò? Qual sarebbe l’obiettivo da tenere sotto controllo? Ridurre contagi? Ridurre malati? Ridurre i ricoverati in terapie intensive? Ridurre i morti?

Quali dovrebbero essere i valori soglia oltre i quali far scattare le misure? Quale valore del famoso indice di contagiosità Rt? Quale valore nel numero di contagi? Quale valore di occupazione di terapie intensive? Quale valore nel numero dei morti?

E se il valore fosse Rt perché continuare a fornire anche gli altri dati nel consueto bollettino di guerra? Se il valore fosse l’occupazione dei posti letto in terapia intensità perché insistere anche sui morti e sui positivi al tampone? Confesso che ancora mi risulta difficile fornire una chiara risposta.

A rendere ancora più intricata ed ingarbugliata la vicenda abbiamo i recentissimi “21 indicatori” il cui complicato algoritmo che li mette in relazione determinerebbe il colore della regione (gialla, arancione o rossa) e quindi l’entità del confinamento. Indicatori, escluso il famoso Rt, che sembrano prestarsi più a compromessi e scelte politiche che a criteri chiari, quantificati e misurabili.

DPCM politiche anti Covid-19

Gestione della malattia, cure e politiche sanitarie

La chiusura delle palestre

Emblematica sembra essere la storia della chiusura delle palestre. Chiusura che sembrerebbe denotare una gestione a dir poco dilettantesca della vicenda.

Tutto inizia domenica 18 ottobre con l’annuncio dell’ennesimo DPCM (di cui si sarebbero valutati gli effetti in circa 14 giorni) e di una velata ed infantile minaccia da cui emergeva una sorta di “colpa collettiva” per le palestre, ree di essere focolai di contagi.

Quindi giovedì 22 venivano emanate nuove misure da rispettare per il settore. Ma solo 3 giorni dopo, domenica 25 ottobre, l’ennesimo DPCM (ma il primo non doveva essere valutato in 14 giorni?) ne disponeva la chiusura non solo senza fornire alcun serio dato scientifico a supporto ma dopo che gli stessi controlli avevano invece rivelato un ossequio alle disposizioni.

La chiusura delle palestre

La chiusura delle palestre

Politiche economiche, MES e Recovery Fund

Seguito a credere nei DPCM e nelle politiche anti Covid-19. Nonostante una gestione economica della vicenda a dir poco pavida ed in cui, nonostante fosse chiaro il danno immane in termini di PIL perduto (attualmente stimato a -10%, simile al 1945 causa guerra e “terapeutici” bombardamenti alleati), fino ad ora si sia proceduto ad interventi per poco più di 100 miliardi oltre all’annuncio della famosa “potenza di fuoco” di 400 miliardi che è rimasta tale solo nei proclami governativi.

Accanto a ciò, oltre a fondamentali incentivi su biciclette e monopattini e cassa integrazione data a singhiozzo ed in ritardo, l’atteggiamento principale è stato quello di attendere salvifici oboli dall’Unione Europea. Annunci di oboli concretizzatisi nel ricorso al MES (meccanismo europeo di stabilità) ed al cosiddetto “Recovery Fund”, forme di prestiti più o meno variabili che possiedono la comune caratteristica di essere prestiti privilegiati, di dover sottostare a controlli in casa e condizioni stringenti (il MES, che infatti gli stati UE si sono ben guardati dal richiedere) o di essere praticamente solo un progetto su carta con tempistiche lunghe e dilazionate (il Recovery Fund, i cui primi scampoli non arriveranno se non nella seconda metà del 2021).

Tra l’altro vorrei far notare l’aspetto paradossale legato alla sanità, probabilmente uno dei maggiori punti nodali di tutta la vicenda, dopo decenni di tagli per oltre 30 miliardi di euro. Tagli i cui tremendi risultati li vediamo proprio adesso e molte delle misure prese servono proprio ad evitare che questo sistema sanitario, spolpato e reso inadeguato all’ordinario figurarsi ad altro, collassi. Insomma il paradosso è che coloro che oggi chiedono a gran voce il ricorso al MES (che potrebbe fornire circa 37 miliardi da destinarsi al sistema sanitario) siano proprio coloro che hanno promosso e guidati i tagli di cui sopra.

Oltretutto mentre l’eccesso di richiesta ed i bassi tassi di interesse alle aste del debito pubblico italiano permetterebbero subito di far fronte alle necessità economiche della nazione. Senza mai dimenticare che la BCE potrebbe agire come prestatore di ultima istanza creando moneta ex nihilo, ossia dal nulla, come avviene regolarmente dopo la fine ufficiale del “Gold Standard” nel 1971 e come ci hanno insegnato anche gli anni recenti con i cosiddetti “Quantitative easing” prima ed il “Pepp” adesso.

DPCM politiche anti Covid-19

Politiche economiche, MES e Recovery Fund

Sport come vera prevenzione primaria

Persisto nel credere nei DPCM e nelle politiche anti Covid-19. Ma non posso non pormi una domanda. Che parte dall’analisi di due dati. Valutiamo i dati riferiti agli oltre 36 mila morti “di”, “con”, “per” Covid (e chi più preposizioni abbia più ne metta) al 22 ottobre 2020 forniti dall’Istituto Superiore di Sanità.

Ricordando che rappresentano circa lo 0,06% dell’intera popolazione italiana, di 4738 persone è stato possibile analizzare le cartelle cliniche: oltre il 63% aveva 3 o più patologie croniche, circa il 20% ne aveva 2, circa il 13% ne aveva 1 e solo il 4% non aveva alcuna patologia cronica. Di queste patologie croniche le principali sono, in ordine di prevalenza: ipertensione, diabete di tipo 2, cardiopatia ischemica, fibrillazione atriale, demenza, insufficienza renale cronica, cancro, broncopatia cronico ostruttiva, scompenso cardiaco, ictus, obesità eccetera.

Accanto a questa analisi epidemiologica andiamo adesso a guardare cosa ci viene ribadito dal Ministero della Salute sul proprio sito in merito ai benefici dell’attività fisica. Tra le decine di punti esposti soffermiamoci su questi 4:

  • In età adulta riduce la frequenza di malattie croniche come le malattie cardiovascolari, il diabete, l’ipertensione arteriosa, alcune forme di tumore (seno, prostata, colon).
  • In età adulta aiuta la salute mentale, contribuendo al mantenimento delle funzioni cognitive e alla riduzione del rischio di depressione e di demenza.
  • In età avanzata produce un effetto positivo sulla funzione immunitaria.
  • In età avanzata riduce il rischio di infezioni delle vie aeree.

Da ciò possiamo facilmente intuire come la pratica costante dell’attività fisica rientri a pieno titolo nella costruzione di un sano e corretto stile di vita. Stile di vita che rimane una delle più formidabili armi per migliorare la salute pubblica. Ed anche una delle più efficienti nella prevenzione primaria contro tutte le patologie, incluso il Covid-19.

A tal proposito riporto un recentissimo studio scientifico sulla relazione tra livelli di attività fisica e Covid-19. È uno studio statunitense su 246 persone con una media di 56 anni, testate per la massima capacità di esercizio prima di febbraio 2020, che poi sono risultate positive al tampone. I risultati hanno evidenziato che, in coloro che avevano un più basso livello di capacità fisica c’è stato un maggior tasso di ospedalizzazione.

E allora perché il governo considera l’attività fisica come “tempo libero” da ridurre e confinare alla sola propria abitazione?

Perché ha deciso di chiudere le palestre, limitando de facto la popolazione dal poter esercitare la propria prevenzione attraverso lo sport, migliorare la propria salute e allontanare quindi la malattia?

Perché si considera lo sport come parte del problema mentre invece è parte della soluzione?

Sport vera prevenzione

Sport vera prevenzione

Combattere il virus ma vendere fumo

Perduro nel credere nei DPCM e nelle politiche anti Covid-19. Ma non posso non pormi una ulteriore domanda. Le politiche anti Covid sono decretate per il supremo bene della salute pubblica secondo il principio in cui si decide di barattare libertà con salute pur di evitare gravi e più difficoltosi lutti per la nazione.

(Si potrebbe qui sollevare il discorso che però, nella storia, la quasi totalità degli esempi positivi che ci vengono tramandati hanno operato al contrario.  Sacrificando la propria salute, fino al supremo sacrificio della vita, per ottenere libertà per sé e per altri. Ma questa è un’altra storia…)

Ma lo Stato che dispone ed impone queste politiche non è lo stesso stato che possiede il monopolio sui tabacchi?

Ossia che organizza ed amministra la vendita del fumo, uno dei maggiori fattori di rischio in assoluto. Responsabile, direttamente o indirettamente, di oltre 93 mila morti in Italia (quasi il triplo di quelli attribuiti a questo Coronavirus)?

Quindi con una mano si vorrebbe combattere un virus che fa 40 mila morti mentre con l’altra si vende il fumo che ne fa quasi 100 mila?

Se lo Stato fosse una persona fisica potrebbe rientrare nello spettro dei disturbi multipli della personalità?

DPCM politiche anti Covid-19

Combattere virus ma vendere fumo

Conclusione

Alla fine di questo articolo, per i temerari giunti sin qui, quello che sembra emergere è l’estrema complessità di tutta la questione Coronavirus. Questione che interessa ed interseca tanti e tali ambiti (giuridici, sanitari, medici, mediatici, informativi, politici, economici, morali, etici) che è difficile tanto cercare di riferirsi solo ad un singolo aspetto quanto valutarli tutti in maniera olistica.

Ciò che ho cercato di far emergere sono state alcune “minuzie” ed un paio di “ma”. Che altro non sono se non interessanti dibattiti, controversi dubbi, irrisolte domande, incerte faccende che non contribuiscono a rendere chiaro e limpido il racconto di questa nominata pandemia.

Racconto il quale è stato e continua ad essere un indefinito guazzabuglio di semplificazioni, ambiguità e paternalismo. Ed in cui ogni interrogativo, ma anche ogni semplice esercizio di spirito critico, viene prontamente bollato con il marchio della somma eresia “deviazionista”.

Insomma “Credo nei DPCM e nelle politiche anti Covid-19” dovrebbe essere un’affermazione, un auspicio od una domanda? Ai posteri l’ardua sentenza.

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Lorenzo Mosca

Con un passato agonistico nella Kickboxing una laurea con lode in Storia Contemporanea ed una in Nutrizione Umana, svolgo la mia attività di allenatore di CrossFit 2° livello e biologo nutrizionista. Dal "secolo scorso" ad oggi la mia passione per lo sport e per la conoscenza mi ha spinto a sperimentare ed affrontare nuove sfide. Sempre.